Salute e tecnologia: il futuro è la medicina predittiva
Dati e algoritmi al servizio di un nuovo modello di salute fondato sulla prevenzione mirata e personalizzata. Una sfida non solo tecnologica ma sociale che impone il contributo fattivo di tutti: filosofi, giuristi, tecnologi. Per disegnare un progresso effettivo e diffuso che non sia privilegio e occasione di arricchimento per pochi.
Giovanni Runchina
Giovanni Runchina
07 Marzo 2023
Tempo di lettura: 4 minuti

Nostro ospite a “Tecnologia è Biologia e viceversa”, la due giorni del 3 e 4 dicembre 2021 organizzata da Kitzanos con esperti di vari settori per riflettere sulle conseguenze dell’avvento del digitale, il professor Alfio Quarteroni, matematico tra i più apprezzati a livello mondiale, nel corso del suo intervento (qui il video della seconda giornata) si era soffermato sull’impatto positivo della tecnologia proprio sulla biologia umana, con particolare riferimento alla salute.

Un’analisi estremamente efficace che partiva da un dato: in Europa la spesa sanitaria cresce del 7% all’anno. A questi ritmi, nel 2070, l’intero PIL dell’Unione Europea dovrebbe essere destinato alla sanità. Scenario chiaramente insostenibile che impone sin da subito un ripensamento complessivo del modello non più incentrato sulla cura ma sulla prevenzione. Una banalità solo in apparenza perché, in realtà, la conseguenza dell’accoglimento di questo paradigma è il mutamento radicale dell’organizzazione attuale con un passaggio dalla sanità orientata al paziente a quella a misura di persona.

La sfida è di portata enorme, storica, ma abbiamo dalla nostra parte un alleato formidabile: la tecnologia che ci aiuterà a transitare dalla medicina curativa alla medicina predittiva, fondata su modelli sofisticati e personalizzati che utilizzeranno enormi quantità di dati sanitari e sapranno leggerli in tempo reale creando un monitoraggio costante a distanza.

L’obiettivo è duplice: prevenire l’insorgenza delle patologie e tagliare drasticamente le cure conseguenti e attutire l’ospedalizzazione, così da avere la possibilità di invertire quella curva di spesa sanitaria al momento destinata, inevitabilmente, la sua ascesa nel tempo.

Il domani sarà fatto di meno ricoveri e più monitoraggio a distanza con chiamate mirate, non si rincorreranno le malattie ma si anticiperanno i problemi di salute. Forniremo i nostri dati a strumenti sofisticati, indossabili, i quali comunicheranno senza sosta con le strutture sanitarie e con quelli che si chiamano “digital twins”, i gemelli digitali degli umani. Negli Stati Uniti, aveva sottolineato ancora Quarteroni, questo modello era già in fase avanzata soprattutto per alcune patologie particolarmente diffuse nella popolazione e con impatti enormi sulla salute pubblica e sulle casse statali.

Tale discorso appare il prologo perfetto di quanto portato all’attenzione pubblica dal Corriere della Sera in un articolo apparso sull’edizione online e intitolato “La medicina del futuro: grazie a dati e algoritmi cure migliori e prevenzione” nel quale si traccia il quadro attuale e le tendenze in atto. La digitalizzazione non è una conquista mera quanto una necessità ineludibile per contenere costi altrimenti non sostenibili sia economici che sociali.

Il cambio di passo è necessario ovunque, soprattutto in Occidente, e lo è tantopiù nel nostro Paese che, se da un lato vanta il primato della vita media a livello europeo in un Continente con il primato della vecchiaia, dall’altro deve destinare una fetta sempre maggiore della propria ricchezza alla sanità. Anche qui i dati aiutano a inquadrare la portata del problema; stando a quanto riportato nell’articolo «[…] più del 70% della spesa sanitaria è dovuto a malattie croniche e circa il 36% dei cittadini con più di 65 anni ha almeno due malattie croniche. […] Se, come sembra, la digitalizzazione può portare a risparmi nel lungo termine ben superiori al 10% della spesa sanitaria (costo opportunità), con benefici ancora maggiori per la gestione a distanza dei pazienti cronici, si comprende l’ordine di grandezza del cambio. Parliamo di circa del 2% del PIL».

Tuttavia, la sfida non è solo e semplicemente tecnologica perché l’impatto sulle nostre vite sarà enorme. Servirà evidentemente una nuova organizzazione sanitaria, emergeranno nuove figure professionali mentre altre acquisiranno nuove competenze; ma è altrettanto vero che ci sarà bisogno di regole aggiornate, soprattuto in materia di privacy, e una formazione scolastica moderna.

La partita non sarà ad appannaggio esclusivo dei tecnologi ma anche filosofi e giuristi che dovranno concorrere, ciascuno secondo le proprie competenze e sensibilità, a disegnare questo nuovo modello nel quale la tecnologia sia sempre al servizio del bene umano. E affinché l’oro del domani, ossia i dati, non sia fonte di speculazione a beneficio di pochi ma infrastruttura di base sulla quale costruire una società più giusta e più sana sotto tutti i profili.