L’arte di invecchiare
Invecchiare senza maturità, senza lasciarsi trasformare dal tempo, è uno dei paradossi della nostra epoca. Le riflessioni di Nicola Pirina, CEO di Kitzanos
Redazione
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16 Dicembre 2024
Tempo di lettura: 4 minuti

C’è una verità interessante in una frase di Guccini: “Ci vuole scienza e ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità”, scrisse.

Parole per ricordarci quanto sia difficile attraversare il tempo senza lasciarsi trasformare da esso, senza imparare nulla, senza diventare migliori. Perché migliorare il mondo richiede non solo azione, ma anche una profonda maturità che si costruisce con la scienza, la costanza e, soprattutto, con l’umiltà di apprendere. 

Invecchiare senza maturità uno dei grandi paradossi della nostra epoca. 

Abbiamo accesso a più informazioni che mai, eppure raramente le trasformiamo in conoscenza e, ancor meno, in saggezza. Viviamo immersi in un flusso continuo di stimoli, dove il valore delle cose sembra misurato dalla loro immediatezza e dalla loro capacità di attrarre attenzione. 

Ma la maturità non è un dono spontaneo del tempo. Non è la somma degli anni, ma la qualità delle esperienze e delle riflessioni che riusciamo a trarre da essi.

Migliorare il mondo richiede maturità, perché solo chi ha imparato a guardare oltre se stesso può immaginare un futuro migliore per tutti. La maturità è la capacità di ascoltare senza pregiudizi, di cambiare idea di fronte a nuove evidenze, di accettare i propri limiti e di impegnarsi per superarli. Richiede scienza, perché senza una conoscenza approfondita dei problemi che affrontiamo, dall’uscita dalla crisi climatica alle disuguaglianze sociali, ogni sforzo rischia di essere vano. E richiede costanza, perché il mutamento non è mai immediato.

È un processo lento, che richiede dedizione, pazienza e perseveranza. Progredire non è solo un processo individuale, ma anche collettivo. 

In una società che sembra sempre più frammentata e polarizzata, la maturità collettiva è forse il bene più prezioso che possiamo coltivare. Significa riconoscere che i problemi che affrontiamo non possono essere risolti da una sola generazione, da un solo gruppo, da un solo punto di vista. Serve una visione condivisa, un impegno comune, una capacità di lavorare insieme nonostante le differenze.

Eppure, viviamo in un tempo che sembra temere la maturità. 

La cultura dell’eterna giovinezza, non solo fisica, ma anche mentale ci spinge a rifuggire la complessità, a cercare soluzioni semplici a problemi complessi. 

Ma non possiamo migliorare il mondo senza accettare la fatica di crescere. 

Non possiamo affrontare le sfide globali senza una profonda consapevolezza di ciò che è in gioco, senza la capacità di andare oltre gli slogan, le scorciatoie, le illusioni.

Forse è questa la chiave. Migliorare il mondo è tanto un atto di maturità quanto atto di fede. 

Fede nel potere della scienza, nel valore della costanza, nella capacità dell’umanità di imparare dai propri errori. E fede in noi stessi, nella nostra capacità di cambiare, di crescere, di lasciare un segno positivo.

Può emergere una visione disincantata e insieme potente della società vera, normale, fatta di persone che mandano avanti il mondo senza clamore. 

Sono gli amici che non cercano la gloria, persone comuni, ma non per questo meno straordinarie, capaci di masticare il mondo e affrontare la vita con un realismo che è insieme forza e speranza. Sono queste persone, quelle che non brillano per eccentricità ma per solidità, a reggere le fondamenta del mondo. La normalità, nella sua accezione migliore, è il tessuto connettivo della società. Non è l’élite, non sono le minoranze che detengono il potere o si muovono ai margini, ma la massa silenziosa di chi lavora, ama, cresce figli e tiene vivo il senso di comunità. Una società che troppo spesso viene ignorata nei grandi racconti del progresso, ma che è il vero motore del cambiamento.

Costruiscono un loro paradiso su misura, fatto di sogni semplici e di valori condivisi. 

In una società sempre più polarizzata tra estremi, questo è un manifesto di resistenza.

Sono loro a fare la differenza. Non per numeri, ma per qualità. 

Non per rumore, ma per sostanza.

Per migliorare il mondo, non bisogna essere santi o rivoluzionari, ma autentici. 

Non serve inseguire modelli impossibili o obiettivi grandiosi. 

Serve riconoscere il valore delle piccole cose, della comunità, del lavoro fatto con cura. Serve un piano chiaro per vivere bene sulla terra. 

Un sorriso, Nicola