Tempo, tempi: modelli di governo e rappresentanza
Redazione
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28 Gennaio 2022
Tempo di lettura: 6 minuti

Perché è importante ragionare sui tempi della politica, sul suo modo di funzionare e di essere percepita. Il contributo del Ceo di Kitzanos Nicola Pirina per aprire un dibattito virtuoso e vivace.

Questo è un Paese particolare sotto tanti profili, ma uno rileva maggiormente quando si fanno i bilanci di fine anno. In questo Paese è facile che tutto rallenti inesorabilmente, per non dire si fermi, dal 20 luglio al 10 settembre, poi dal 20 dicembre al 10 gennaio, poi per i ponti delle festività. E così via.

Questa situazione si aggrava a causa delle varie tornate elettorali, c’è la volta dei rimpasti e delle suppletive, c’è la volta del Presidente della Repubblica, ci sono le amministrative e le politiche, poi c’è la volta delle regionali e delle europee. E via discorrendo

Insomma, un po’ per indole ed un po’ per ragioni istituzionali (e non sono gli unici due aspetti), questo Paese ha un pessimo rapporto col tempo.

Se declino il ragionamento rispetto al funzionamento della macchina amministrativa peggio mi sento. Ci sono opere pubbliche che hanno cicli d’esecuzione ultra trentennali, cioè oltre il 35% della vita media delle persone.

Quindi, per fermarmi a questi pochi aspetti macro, non c’è una fisiologia compatibile con le necessità delle persone né conciliabile con il funzionamento del mondo imprenditoriale e libero professionale.

Questa è una delle peggiori nevralgie del Paese. Come ha acutamente osservato qualcuno di intelligente siamo a livello di deficit amministrativo tale da rendere disabile la società tutta.

Ma ciò che è peggio è insito nell’atteggiamento d’inesorabile arresa nei modi e nei volti dei responsabili di turno che pensano di convincerci del fatto che così è sempre stato, così è e così sempre sarà, perché così vanno le cose.

Ma ci sono due novità: 1) è pronta una nuova generazione di classe dirigente che non ha la faccia da scemo che beve ogni porcheria gli vogliano ottriare 2) c’è un Next Generation EU che preme con inedito vigore.

E le due novità vanno molto d’accordo perché mettono insieme idee, energie e voglia di cambiamento che non può più aspettare.

Se non siete d’accordo potete serenamente interrompere qui la lettura.

Viceversa, se siete indomiti battaglieri, proviamo a portare avanti un ragionamento.

L’esperienza italiana, al netto di tutto, conferma l’influenza dei partiti politici sulla dinamica della forma di governo, non soltanto quali strumenti di partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale, ma anche perché decidono, condizionano l’indirizzo politico. Anche nelle fasi storiche di ridimensionamento delle forze politiche il sistema partitico si è autorigenerato. Per questo occorre non sottovalutare che i partiti politici, in particolare quelli che concorrono a formare una maggioranza parlamentare, hanno una posizione oligopolistica. Anche perché l’apparato burocratico propriamente detto, e quello della fin troppo ampia zona grigia della pubblica amministrazione sono loro diretta emanazione, a tratti rispondono in maniera militarizzata agli input. A volte configurandosi come terzo potere autonomo.

Ma queste due articolazioni sono rappresentative oramai del 45% circa della popolazione, quella votante rimasta.

Il modello elitistico però fa il paio con lo svuotamento concettuale della rappresentanza. Infine, il decisionismo, nella sua versione ideologica rappresenta un vero e proprio attacco al modello di democrazia rappresentativa e allo Stato democratico di diritto.

La crisi della rappresentanza elettiva costituisce un fenomeno caratterizzante la contemporaneità, il progressivo distacco tra rappresentanti e rappresentati, unitamente al declino dell’istituto parlamentare (dovuto anche allo spostamento dei centri decisionali in ambito sovranazionale), pone profondi interrogativi sul futuro della stessa democrazia rappresentativa.

La cultura politica del mondo occidentale democratico è stata poi travolta dall’avvento dei social network. La possibilità di far circolare gratuitamente informazioni senza la mediazione dei tradizionali operatori della comunicazione ha totalmente cambiato le carte in tavola nel dibattito politico. E gli attori politici e culturali consueti non si sono accorti che, nell’apparente vuoto sociale di una comunicazione pubblica disintermediata, si inserivano nuovi operatori in grado di creare meccanismi di consenso, sfruttando maglie e connessioni che solo qualche anno fa sembravano innocue, veicolando messaggi semplici, schematici, di immediata comprensione, a prescindere dalla loro fondatezza. La rappresentanza elettiva, al tempo dei social network, degrada da rilevante funzione sociale di intermediazione tra le Istituzioni e i cittadini a comunicazione in chiave propagandistica.

Ma sempre e solo oramai sempre lo stesso 45% degli aventi diritto va a votare, spesso con un animus da second best o addirittura turandosi il naso.

In ogni epoca storica si tende ad avere un’analogia tra il modo di produzione e quello che potremmo chiamare il modo di organizzazione, cioè l’insieme di meccanismi, pratiche e strutture organizzative che sono prevalenti in quel momento.

Il partito di massa incarnava la logica di produzione della società industriale.

Questo modello organizzativo entrò in crisi a causa di una serie di profonde trasformazioni economiche e culturali che iniziarono a svilupparsi a partire dagli anni Sessanta.

L’individualismo dilagante e il consumismo dell’era neo liberale ha soppiantato la militanza politica dell’era industriale. Ascende il partito professionale, cartello, il partito televisivo.

Ora ci troviamo in una nuova fase evoluzione della forma di partito, il partito piattaforma.

Il partito piattaforma, però, è anche un partito start-up. Condivide il rapido tasso di crescita delle start-up, la loro capacità di scalare rapidamente per rispondere alla crescente domanda dei consumatori per i loro prodotti e servizi, ma sono anche caratterizzate da un alto grado di mortalità infantile.

Ma i contenuti dei forum (digitali o fisici)?

Cioè, dov’è l’elaborazione della visione di società?

Dov’è che si fa il lavoro di sintesi dei pensieri etici e morali e li si fonde in impalcature possibili di governo?

Dov’è che si riapre il dialogo col 55% della popolazione votante che è sempre più distante da tutto e da tutti a prescindere dalle forme?

Come nelle aziende che precipitano per mancanza di lungimiranza degli investitori e per miopia dei manager, così nelle forme di rappresentanza.

O anche qui volete dirci che non è colpa di nessuno e che tutto accade perché deve accadere?

Serve una nuova democrazia al di là della crisi profonda della democrazia esistente.

Serve un nuovo consorzio sociale che si riconosca in valori etici e morali, filosofici e di fede.

Non è più il tempo dei super leader né delle super basi, non è più tempo di papa stranieri né di salvatori.

Qui serve gente che ha idee chiare, voglia di lavorare e capacità di realizzare le cose che servono. In tempi utili.

Ora, per essere concreti.

A febbraio ci sarà il nuovo Presidente della Repubblica.

Ad aprile una tornata di amministrative.

Poi ci saranno le politiche.

Poi ci saranno le regionali.

Poi le europee.

Il tutto sotto PNRR e correlati.

Servono nuovi modelli di rappresentanza e di gestione.

Servono nuove aziende, nuove aggregazioni sociali e territoriali.

Noi abbiamo le idee chiare. Voi?

As usual, ready to debate.

Un sorriso e buon futuro.

Nicola