Radici e futuro
Competenze, infrastrutture e politiche locali. Sono gli ingredienti necessari a combattere il progressivo abbandono da parte dei giovani dei piccoli centri. Il ragionamento di Nicola Pirina, CEO di Kitzanos.
Redazione
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27 Gennaio 2025
Tempo di lettura: 3 minuti

Lo spopolamento dei paesi è una ferita aperta che lascia dietro di sé case vuote, tradizioni dimenticate e comunità spezzate. Di fronte a questo esodo silenzioso, la domanda cruciale è: come possiamo far emergere nei giovani un desiderio di restare? 

Non è sufficiente chiedere loro di preservare le radici o di amare la propria terra. 

Servono competenze, infrastrutture e politiche locali capaci di trasformare il rimanere in un atto di scelta consapevole e non in una condanna.

Le competenze locali sono il primo tassello. 

In un mondo iperconnesso e in rapida evoluzione, i giovani dei paesi devono essere equipaggiati per competere e prosperare, senza sentirsi tagliati fuori dalle opportunità che offre il resto del mondo. Questo significa investire in formazione tecnica, digitale e imprenditoriale direttamente sul territorio. I centri di formazione, gli spazi di coworking, le accademie rurali possono diventare fucine di talento, dove i ragazzi imparano non solo a lavorare, ma anche a creare lavoro. Agricoltura sostenibile, turismo esperienziale, energie rinnovabili, artigianato di alta qualità e così via, sono tutte opportunità che possono fiorire solo se supportate da competenze specifiche e innovative.

Ma le competenze, da sole, non bastano. 

Servono infrastrutture e servizi locali che rendano il vivere in un paese una scelta desiderabile e non un compromesso. L’accesso a internet veloce è ormai indispensabile per chiunque voglia lavorare, studiare o semplicemente restare connesso con il mondo. I trasporti devono essere efficienti, perché l’isolamento fisico alimenta quello economico e sociale. 

E poi ci sono i servizi.

Scuole di qualità, presidi sanitari, spazi culturali e sportivi. 

Non possiamo domandare ai giovani di restare in luoghi che non offrono loro le basi per costruire una vita dignitosa e stimolante.

Le politiche locali devono fare da collante. 

Incentivare l’imprenditorialità giovanile, facilitare l’accesso alla casa e alla terra, promuovere l’insediamento di nuove famiglie attraverso sgravi fiscali e contributi.

Sono tutte misure che possono invertire la tendenza allo spopolamento. 

Ma, oltre agli incentivi, è fondamentale creare un senso di comunità e appartenenza. 

Questo significa valorizzare le risorse culturali e naturali dei territori, trasformando i paesi in luoghi dove si vive bene, dove ci si sente parte di qualcosa di più grande, dove il passato non è un peso ma un valore aggiunto.

Il desiderio di restare non si compra, si costruisce. 

Non si tratta solo di combattere lo spopolamento, ma di immaginare un nuovo modello di sviluppo locale, capace di connettere il globale con il locale, l’innovazione con la tradizione, il futuro con le radici. I giovani restano dove vedono possibilità, dove si sentono valorizzati, dove trovano opportunità di crescita personale e professionale. 

Restano dove non si sentono soli, dove le loro ambizioni trovano spazio e riconoscimento.

Se non agiamo ora, i paesi che si svuotano diventeranno solo fotografie di un tempo passato. Ma se sappiamo ascoltare i giovani, investire nei loro sogni e dare loro gli strumenti per realizzarli, possiamo trasformare lo spopolamento in una rinascita. 

Non è una questione di nostalgia, ma di visione. 

Perché trattenere i giovani non significa fermare il tempo, ma costruire un futuro che vale la pena vivere. 

E quel futuro comincia oggi, con scelte coraggiose e politiche che guardano oltre l’immediato.

Con speranza, Nicola

Immagine di natanaelginting su Freepik