Nel 2025 molte imprese italiane hanno finalmente avviato un progetto di intelligenza artificiale: il mercato IA nel nostro Paese ha registrato una crescita del +58% e ha superato 1,2 miliardi di euro. Eppure: solo l’8,2% delle imprese con almeno 10 addetti ha dichiarato l’utilizzo di almeno una tecnologia IA nel 2024. Il gap fra avere tecnologi e saper trasformare l’impresa resta ampio.
Allora, cosa significa davvero per un’impresa essere pronta all’AI?
Quali figure servono oltre ai tecnologi?
E soprattutto: è sufficiente avere gli ingegneri per vincere la partita?
L’errore più comune: pensare che l’IA sia solo tecnologia.
Spesso si legge e si sente che “servono più sviluppatori, più machine-learning engineer, più data scientist”. Certo: le competenze tecniche rimangono fondamentali — ma da sole non bastano. Un recente report evidenzia che circa il 70% dell’effort relativo a un progetto AI è legato al ridisegno dei processi, solo il 10% agli algoritmi veri e propri.
La tecnologia è l’innesco, non la soluzione.
Se l’impresa non ripensa la catena del valore, la governance, le competenze organizzative e la cultura dati, il progetto IA rischia di rimanere un esercizio dimostrativo, un “proof-of-concept” che non entra nel flusso operativo.
Serve una cultura dati, non solo tecnologi.
Il passaggio chiave è: dall’algoritmo alla cultura. Nelle medie imprese italiane, uno degli ostacoli è “scarsa integrazione tra sistemi” (38 %) e “mancanza di dati di qualità” (37 %). In parole povere: puoi installare il miglior modello di AI, ma se i tuoi dati sono sporchi, frammentati, non accessibili, il risultato sarà… meh.
In più: le persone in azienda devono capire l’IA, non solo i tecnologi. Serve formazione, alfabetizzazione digitale e culturale.
Quindi: la competenza tecnica è una condizione necessaria ma non sufficiente.
Quali figure servono oltre al classico data scientist? Eccone alcune:
AI Manager / Chief AI Officer: qualcuno che connette tecnologia, strategia d’impresa, etica e impatti.
Data Engineer & Machine Learning Ops: ovvio, ma devono essere integrati in team ibridi cross-funzione.
People & Culture Specialist per l’AI: per guidare il cambiamento organizzativo, la formazione, la governance.
Ethics & Governance Expert: con l’arrivo dell’AI Act in Europa, la conformità e la fiducia diventano fattori competitivi.
Business Analyst con mindset IA-first: capace di tradurre insight generati dalla tecnologia in azione operativa, modelli di business e KPI rilevanti.
La domanda “ci sarà bisogno solo di tecnologi?” va dunque ribaltata in: “ci servirà un ecosistema di competenze nuove e integrate”.
Un’impresa che introduce IA senza una visione strategica chiara rischia di inciampare. Serve che la leadership (CEO, CDA) si faccia capofila dell’innovazione e che non sia un progetto “di nicchia” relegato all’IT.
Inoltre, la governance: come gestiamo i dati? Chi decide le priorità? Qual è il ruolo del cambio culturale? Quali sono i KPI di successo per un progetto IA?
La tecnologia può essere abilitante, ma se mancano chiarezza, obiettivi condivisi e allineamento tra funzioni, il risultato resta marginale.
Molte aziende italiane segnalano che l’adozione dell’IA – oltre all’ostacolo tecnico – è freno proprio in ambito organizzativo: processi rigidi, silos funzionali, resistenze culturali. Quindi, è necessario ripensare i processi: quali attività vengono supportate dall’IA? Quali cambiano? Quali scompaiono?
E gestire il cambiamento: coinvolgere, comunicare, formare, sperimentare. Non bastano 3 algoritmi: ci vogliono persone pronte, ambienti aperti, errori consentiti e cicli rapidi di apprendimento.
Le imprese che stanno vincendo non puntano solo a “fare IA” ma a “fare IA bene”: sistemi affidabili, trasparenti, etici, integrati con l’organizzazione. Il concetto di Industry 5.0 suggerisce un approccio umano-centrico, sostenibile e resiliente alla tecnologia. Inoltre: sicurezza, privacy, compliance: gli algoritmi non sono “magia” ma strumenti operativi che richiedono governance e responsabilità.
Il futuro dell’AI nell’impresa non è “solo algoritmo” ma un sistema integrato: innovazione, rigenerazione, organizzazione.
Quali passi concreti per un’impresa che vuole non solo “essere digitale” ma “essere smart-AI”?
Ecco un mini-checklist:
Definire la visione strategica IA: cosa vogliamo ottenere? Quale valore? Quale modello di business cambia?
Valutare lo stato dell’organizzazione e dei dati: qualità, integrazione, cultura.
Mappare competenze e gap: tecnici sì, ma anche change-agent, governance, cultura.
Costruire un team ibrido: tech + business + people.
Ridisegnare processi: dove l’IA entra, ciò che cambia, ciò che muore.
Governance e etica: policy interne, KPI, trasparenza, conformità.
Sperimentare rapidamente, imparare, scalare: iniziare piccolo, misurare, espandere. Comunicare internamente ed esternamente: l’adozione dell’IA non è solo operativa, è culturale. Conclusione: non servono solo tecnologi — serve un nuovo ecosistema.
Ecco la verità, senza giri di parole: un’impresa che pensa all’AI come “metto un algoritmo e vado” è già in ritardo. La tecnologia è cruciale, ma è solo uno degli ingredienti. Il vero salto competitivo si fa quando l’IA viene integrata in una strategia, in un’organizzazione, in una cultura. E allora sì: le imprese avranno bisogno anche di tecnologi, ma non esclusivamente. Avranno bisogno di leader visionari, manager ibridi, persone che sappiano far dialogare dati, modelli, processi e persone.
Se il vostro focus resta “assumiamo X data scientist”, rischiate di perdere l’onda dell’innovazione. Invece, pensate: “costruiamo l’impresa che saprà governare l’AI”.


