Nei server pubblici giacciono enormi quantità di dati.
E probabilmente molti di più ancora nei faldoni impolverati.
Eppure quell’oro digitale resta in gran parte inesplorato.
La Pubblica Amministrazione non ha ancora abbracciato la rivoluzione dell’AI e del machine learning, nonostante la tecnologia per farlo esista già.
Il futuro è qui – ignorarlo è una scelta.
L’introduzione di sistemi di AI promette una burocrazia più efficiente e reattiva.
I compiti ripetitivi affidati agli algoritmi libererebbero funzionari per attività a maggior valore, l’analisi predittiva dei dati permetterebbe di anticipare criticità e prevenire disservizi invece di reagire in ritardo.
Parallelamente, i servizi ai cittadini farebbero un salto sia qualitativo sia quantitativo.
L’AI renderebbe l’erogazione personalizzata, immediata e la scalabilità digitale consentirebbe di offrire più servizi h24 senza costi aggiuntivi. La qualità aumenterebbe perché le decisioni sarebbero guidate dai dati e non da supposizioni.
La PA potrebbe fare di più e meglio.
L’aspetto più rivoluzionario riguarda il modo di progettare e valutare le politiche.
Oggi troppo spesso si legifera al buio, affidandosi a intuizioni o al consenso di breve termine. L’approccio data-driven, invece, permette di prevedere gli effetti di un provvedimento prima di attuarlo, simulandone l’impatto con modelli predittivi.
Si possono stimare le conseguenze socio-economiche di una riforma e, grazie ai dati in tempo reale, correggere la rotta in corsa.
Decisioni supportate dai dati significano politiche più efficaci e risultati tangibili per la collettività.
La PA è in grave ritardo.
La colpa ricade su una classe dirigente (politica ed amministrativa) miope e timorosa.
Le iniziative finora sono frammentarie e più orientate all’efficienza interna che ai servizi ai cittadini e quasi nessuno ne misura gli esiti – solo il 20% dei progetti AI pubblici ha definito indicatori di performance, spesso non sappiamo neppure se le poche innovazioni introdotte funzionino davvero.
L’inerzia e la mancanza di visione sono i veri avversari da battere.
È vero, l’adozione massiccia di AI e big data nella PA comporta rischi da gestire con serietà.
Bias algoritmico: gli algoritmi apprendono dai dati e rischiano di replicarne i pregiudizi.
Decisioni automatiche: delegare decisioni ai modelli solleva interrogativi su equità e responsabilità.
Privacy: l’uso massivo dei dati dei cittadini impone tutele rigorose.
Trasparenza: decisioni algoritmiche rischiano di sottrarsi al controllo democratico.
Questi pericoli esistono, ma si possono tenere sotto controllo.
Le soluzioni non mancano: norme chiare, audit algoritmici, principi etici by design, formazione adeguata. L’errore peggiore sarebbe usarli come alibi per non innovare. Dobbiamo guidare l’innovazione, non subirla.
Non è la tecnologia a mancare, è la volontà di usarla per il bene comune.
La sfida è culturale.
Il cambiamento spaventa, ma l’immobilismo è più pericoloso.
Chi governa deve usare l’AI per una PA più proattiva e trasparente.
Servono visione e coraggio – ogni giorno perso è un’opportunità sprecata.
Il futuro non aspetta.
Politica e amministrazione devono assumersi la responsabilità di questo salto innovativo ora.
Un sorriso, Nicola
La rivoluzione che non si può rimandare
La pubblica amministrazione italiana non ha ancora abbracciato la modernità dettata dall'uso dell'AI e del machine learning. Una rivoluzione al momento incompiuta e con gravi conseguenze. La riflessione di Nicola Pirina, CEO di Kitzanos.
Redazione
20 Ottobre 2025
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