Papa Francesco a Cagliari. Dieci anni dopo.
Pubblichiamo l'intervento di Nicola Pirina, CEO di Kitzanos, tra i relatori dell'iniziativa che si è tenuta ieri alla Facoltà Teologica della Sardegna di Cagliari per ricordare il decimo anniversario della visita di Papa Francesco in Sardegna.
Redazione
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22 Settembre 2023
Tempo di lettura: 9 minuti

Ringrazio per il coinvolgimento, mi complimento per l’iniziativa e per i contributi che mi hanno preceduto.

Quali sono oggi i punti fermi del pensiero del Papa?

Ho deciso di aprire questo mio intervento con una domanda che rivolgo non solo a me ma a tutti voi. Per cercare, in questo tempo così frammentato, caotico, veloce che ci spiazza e ci mette alla prova, di trovare i cardini su cui impostare una riflessione perlopiù collettiva.

Se devo sinteticamente dare una risposta, per punti da sviluppare, individuo quattro grandi temi che, mi pare, caratterizzino con una certa ricorrenza gli interventi del Santo Padre: migranti, ecologia integrale, scartati/ultimi e lavoro. Con un corollario che è in realtà invito costante a guardare la storia e gli eventi dalla parte e con gli occhi degli ultimi, facendo nostre le loro preoccupazioni e impegnandoci a far sentire il loro grido.

Quest’attenzione verso l’universo di debolezze dell’uomo, morali e materiali, è di estrema importanza perché consente di sottolineare il più grande limite del nostro tempo: tutte le sfere dei problemi che viviamo sono tra loro correlate e dipendono da una visione dell’uomo distorta, strumentalizzata, un antropocentrismo ipertrofico che è foriero di danni.

Invece dell’uomo che si mette in sintonia con gli altri esseri umani e il Creato c’è il superuomo consumatore bulimico che ignora i limiti delle risorse naturali. Superuomo che mette alla prova la tenuta complessiva del Creato ignorando un insegnamento fondamentale: la forza di una catena dipende dalla tenuta dei suoi anelli più deboli.

Da ciò discende un’importante conseguenza: la debolezza degli scartati e degli ultimi diventa elemento di vulnerabilità di tutto il sistema. E questa è a mio parere la cornice all’interno della quale si muove il pensiero del Papa.

Proseguendo nell’analisi e andando più nel dettaglio: quali sono state le sue parole chiave a Cagliari 10 anni fa?

Giovani con un invito forte a:

-mettersi alla prova e sperimentare il fallimento;

-non cedere al pessimismo e alla sfiducia perché un giovane senza gioia e speranza non è un giovane;

-non farsi lusingare e catturare dai mercanti di morte;

-avere fiducia nel Signore;

-non smettere di rimettersi in gioco;

-aprire il cuore alla fraternità, all’amicizia, alla solidarietà;

-scegliere la strada della pace;

-prendere il largo e gettare le reti nell’oceano della vita;

Cultura intesa come rinnovamento, come nuovo paradigma da cui partire per:

-andare oltre la disillusione a causa di una crisi economico-finanziaria, ma anche ecologica, educativa, morale, umana;

-vincere la rassegnazione;

-coltivare convintamente e concretamente la speranza;

-promuovere cultura della prossimità e dell’incontro;

-proporre costante formazione alla solidarietà;

Poveri e detenuti, gli ultimi che sono invisibili. Le loro necessità devono diventare il centro del dibattito, il motore di un nuovo ordine morale, materiale che:

-individua la fragilità e se ne fa carico;

-rigetta la competizione come strumento per stilare classifiche, nessuno è migliore dell’altro;

-indica convintamente la carità come virtù anche laica che non significa mero assistenzialismo ma aiuto a superare le difficoltà per far rifiorire le esistenze;

-indica l’amore come scelta di vita;

-rafforza la solidarietà;

-indica una via da percorrere con impegno e non come diversivo;

-pone attenzione alle periferie esistenziali;

Lavoro da rimettere al centro quale valore e non come mezzo e, pertanto, in grado di:

-infondere coraggio perché teso alla realizzazione della persona;

-rifuggire la sofferenza che ruba la speranza;

-essere sinonimo di dignità, perché lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare;

-rigettare questo sistema economico idolatrico che instaura la cultura dello scarto: si scartano i nonni e si scartano i giovani;

-indicare una via alternativa a questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male;

-porre al centro di tutto l’uomo e la donna, come Dio vuole, e non il denaro;

-alimentare la speranza che è creativa, genitrice, è capace di creare futuro;

A tal proposito mi pare utile ricordare alcune sue frasi:

“Incontrare chi oggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”.

“Oggi più che mai tutto è intimamente connesso e la salvaguardia dell’ambiente non può essere disgiunta dalla giustizia verso i poveri e dalla soluzione dei problemi strutturali dell’economia mondiale. Occorre pertanto correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente, l’accoglienza della vita, la cura della famiglia, l’equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future”.

“Le vostre università, le vostre imprese, le vostre organizzazioni sono cantieri di speranza per costruire altri modi di intendere l’economia e il progresso, per combattere la cultura dello scarto, per dare voce a chi non ne ha, per proporre nuovi stili di vita”.

“La nostra generazione vi ha lasciato in eredità molte ricchezze, ma non abbiamo saputo custodire il pianeta e non stiamo custodendo la pace. Si tratta di trasformare un’economia che uccide in un’economia della vita, in tutte le sue dimensioni”.

“In effetti, quando alla comunità civile e alle imprese mancano le capacità dei giovani è tutta la società che appassisce, si spegne la vita di tutti. Manca creatività, manca ottimismo, manca entusiasmo, manca il coraggio per rischiare. Una società e un’economia senza giovani sono tristi, pessimiste, ciniche”.

“Le piante sanno cooperare con tutto l’ambiente circostante, e anche quando competono, in realtà stanno cooperando per il bene dell’ecosistema. Impariamo dalla mitezza delle piante: la loro umiltà e il loro silenzio possono offrirci uno stile diverso di cui abbiamo urgente bisogno”.

“Mentre cerchiamo di salvare il pianeta, non possiamo trascurare l’uomo e la donna che soffrono. L’inquinamento che uccide non è solo quello dell’anidride carbonica, anche la diseguaglianza inquina mortalmente il nostro pianeta”.

“Fare economia significa impegnarsi a mettere al centro i poveri. A partire da essi guardare l’economia, a partire da essi guardare il mondo. Senza la stima, la cura, l’amore per i poveri, per ogni persona povera, per ogni persona fragile e vulnerabile, dal concepito nel grembo materno alla persona malata e con disabilità, all’anziano in difficoltà, non c’è economia”.

“Noi non dobbiamo amare la miseria, anzi dobbiamo combatterla, anzitutto creando lavoro, lavoro degno. Il lavoro delle mani. Il lavoro è già la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano”.

“Le idee sono necessarie, ci attraggono molto soprattutto da giovani, ma possono trasformarsi in trappole se non diventano “carne”, cioè concretezza, impegno quotidiano. Le idee sole si ammalano e noi finiremo in orbita, tutti, se sono solo idee”.

Ma qual è l’impatto di questo Magistero che parla a tutti?

Papa Francesco è un abitante dei confini e delle zone di passaggio. È figlio del Novecento, ma con le sue scelte e parole si muove già nel post-moderno, nel post-ideologico. Ha stigmatizzato il capitalismo e la finanza nelle sue degenerazioni, ma ha anche detto parole buone sull’impresa e sugli imprenditori. È molto critico della grande finanza che si mangia l’economia reale, su questo è molto severo e vorrebbe una finanza riportata al suo compito di servizio del lavoro e dell’economia.

Il Papa ha detto e seminato tanto, ma alla fine separerei gli impatti in due dimensioni:

-a livello macro non è cambiato nulla o poco

-a livello micro e con particolare riferimento all’industria dell’innovazione ci sono stati passi avanti, che provenissero dal mondo laico o credente ci sono stati, che derivino direttamente dal Papa pensiero è tutto da dimostrare.

L’impatto che certamente Papa Francesco ha avuto, mi permetto di stressare, è l’attivazione di coscienze, intelligenze, responsabilità. E molti hanno raccolto la sua chiamata all’azione, all’agire responsabile, sostenibile. Come tutti i grandi intellettuali, come lo stesso Chomsky ricorda sempre, il suo compito, vista la levature e la gigantesca esposizione mediatica, è questo: fare in modo che le cose cambino stimolando uno tsunami di sinapsi positive che, autogenerandosi, carambolando per il mondo, animino le coscienze, soprattutto dei giovani.

Questa economia, dicono alcuni economisti e con essi il Papa, non funziona più e la concentrazione della ricchezza in poche mani e l’aumento della diffusione della povertà ne sono la dimostrazione.

Il bene comune deve diventare la guida per chi opera in economia. L’uomo è infatti essenzialmente sociale, relazionale e ha bisogno di rapporti interpersonali.

Il bene comune è l’opposto dell’utilitarismo esasperato e dell’io che detta ogni azione e fa

prevalere il noi. Quindi ogni attività umana dovrebbe far prevalere il bene comune rispetto all’esclusivo riferimento all’interesse personale.

Ai giovani va rappresentato un modo diverso di affrontare i temi economici in cui al centro non ci sia la massimizzazione del profitto ma dello sviluppo, in cui ci sia condivisione dei problemi degli altri, in cui all’individualismo si sostituisca la solidarietà. La politica diventi guida e non ancella dell’economia.

Si prevedano regole nuove che limitino la completa libertà della finanza globale, oggi spinta solo da logiche speculative che creano danni reali a interi Paesi. Si ritorni a dare il giusto spazio all’economia reale riportando la finanza nel suo ruolo di strumento, di mezzo e non di fine.

In conclusione:

Prendo a prestito un pensiero del Papa che afferma che c’è da temere un’economia senza volto, incapace di riconoscere i lavoratori e le aziende intese come comunità di persone. Salviamo la nostra economia, restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto decade con il passare del tempo.

Come fare per non perdere il principio attivo, l’enzima della comunione?

Quando non c’erano i frigoriferi, per conservare il lievito madre del pane si donava alla vicina un po’ della propria pasta lievitata; quando bisognava fare di nuovo il pane ecco che si riceveva un pugno di pasta lievitata da quella donna o da un’altra che lo aveva avuto in dono a sua volta. È la reciprocità.

La comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni, creazione di nuovo pane, di nuovi beni, di nuovo Bene con la maiuscola.

Grazie a Tutt* per l’ascolto.