L’inganno della memoria
La memoria è fallace, ma è il fondamento della nostra identità. Per questo è essenziale distinguere tra ciò che ricordiamo e ciò che abbiamo realmente vissuto. L'opinione di Nicola, Pirina CEO di Kitzanos.
Redazione
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10 Gennaio 2025
Tempo di lettura: 4 minuti

La memoria è un narratore imperfetto. 

Ci piace pensare che il nostro passato sia una sequenza ordinata di eventi, un archivio accurato a cui possiamo attingere per comprendere chi siamo e da dove veniamo. 

Ma questa è un’illusione. 

Ciò che ricordiamo del passato è spesso molto diverso da ciò che abbiamo realmente vissuto. 

La memoria è selettiva, fallace, influenzabile. 

E questa discrepanza tra il passato ricordato e l’esperienza effettiva è una delle grandi sfide della nostra identità personale e collettiva.

Ogni volta che rievochiamo un evento, non lo stiamo semplicemente riportando alla mente, lo stiamo ricostruendo. La memoria non è un filmato che si riavvolge fedelmente, ma un mosaico di frammenti che riordiniamo secondo il nostro stato d’animo, le influenze esterne, le narrazioni che abbiamo accettato come vere. In questo processo, l’esperienza effettivamente vissuta viene distorta, arricchita, semplificata o persino cancellata. Il risultato è che il nostro passato, quello che ricordiamo, non è mai del tutto reale. È una versione romanzata, modellata dal tempo e dal nostro bisogno di dare senso alla nostra storia.

Questo fenomeno ha implicazioni profonde. 

Come individui, la memoria è il fondamento della nostra identità. 

Ma se ci affidiamo a ricordi distorti, rischiamo di costruire una percezione di noi stessi che non corrisponde alla realtà. 

Le esperienze dolorose possono essere mitigate o amplificate, i successi, ingigantiti o dimenticati. 

Quel che scegliamo di ricordare o che la nostra mente decide per noi determina chi crediamo di essere. E questa identità è sempre in dialogo con un passato che, in gran parte, una finzione.

A livello collettivo, questa dinamica diventa ancora più problematica. 

Le società costruiscono la propria narrazione su memorie condivise.

Eventi storici, miti fondatori, tragedie e trionfi. 

Ma queste memorie collettive sono anch’esse ricostruzioni, spesso influenzate da chi detiene il potere di raccontarle. I libri di storia, i monumenti, i rituali pubblici non sono registrazioni neutrali, ma atti deliberati di costruzione della memoria. E ogni società seleziona, modifica, cancella parti del passato per creare una narrazione che rafforzi la sua identità attuale.

La capacità di distinguere tra ciò che ricordiamo e ciò che abbiamo vissuto è dunque un atto di resistenza. Significa riconoscere che la memoria è fallibile e che il passato non è mai neutrale. Significa interrogare i nostri ricordi, metterli in discussione, confrontarli con le evidenze, con altre prospettive, con la storia documentata. Questo non è facile, perché richiede di affrontare le nostre certezze, di accettare che potremmo aver vissuto qualcosa in modo diverso da come lo ricordiamo. Ma è necessario, perché solo così possiamo avvicinarci a una comprensione più autentica di noi stessi e del mondo.

Questo esercizio è ancora più cruciale in un’epoca come la nostra, dove la memoria è continuamente riscritta dalla tecnologia. 

I social media, gli algoritmi, la cultura digitale ci offrono una versione filtrata del nostro passato, selezionando ciò che dovremmo ricordare e cancellando il resto. 

La memoria digitale è un’arma a doppio taglio.

Ci permette di conservare frammenti di vita, ma ci priva del controllo su come questi frammenti vengono organizzati e presentati. Ciò crea una nuova forma di alienazione, dove il nostro passato è già distorto dalla mente umana e viene ulteriormente manipolato da logiche esterne.

Imparare a distinguere tra il passato vissuto e quello ricordato è un atto di libertà. Significa reclamare il controllo sulla nostra storia personale e collettiva, riconoscendo i limiti della memoria ma anche il suo potere. Non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo scegliere come interpretarlo, come imparare da esso, come usarlo per costruire un presente e un futuro più autentici. E in questo processo, forse, scopriremo che il passato, quello vero, quello vissuto, è molto più complesso e straordinario di quanto i nostri ricordi ci abbiano fatto credere.

Con attenzione, Nicola