Mettere la persona al centro di ogni politica pubblica è un sogno antico quanto la democrazia stessa. Un ideale che risuona nei discorsi dei leader e nei programmi di governo, ma che troppo spesso rimane intrappolato nelle maglie della retorica. Si può davvero realizzare una giustizia sociale autentica, che non sia concessione paternalistica ma principio fondante?
Possiamo immaginare politiche pubbliche che bilancino equità, sostenibilità ambientale ed efficienza economica senza che nessuno di questi valori venga sacrificato?
Il primo ostacolo è concettuale. Quando diciamo di voler mettere la persona al centro, ci fermiamo raramente a definire cosa significhi.
Parliamo del cittadino come unità economica, del contribuente, del consumatore?
Oppure intendiamo l’essere umano con le sue aspirazioni, i suoi bisogni, le sue vulnerabilità?
Questa ambiguità di fondo consente alle politiche pubbliche di giustificare interventi che spesso tradiscono proprio quell’ideale.
Una legge sul lavoro che incentiva l’occupazione a discapito dei diritti non mette la persona al centro. Un piano economico che favorisce pochi privilegiati con la scusa della crescita generale è una parodia di giustizia sociale.
La giustizia sociale è possibile, ma non è mai gratuita.
Richiede una ridefinizione dei rapporti di forza nella società, una sfida diretta agli interessi consolidati. Garantire pari opportunità a tutti non è un obiettivo che si raggiunge con semplici dichiarazioni di intenti. Significa investire in istruzione, salute, lavoro e infrastrutture, non come atti di carità, ma come strategie di lungo periodo per costruire una società più equilibrata e resiliente. Non esiste vera giustizia sociale senza un impegno concreto per colmare i divari, per offrire a tutti le stesse opportunità di realizzare il proprio potenziale.
Spesso si dice che giustizia sociale e sostenibilità ambientale siano in conflitto, ma questa contrapposizione è un mito creato da chi vuole preservare lo status quo.
La sostenibilità ambientale è una precondizione per la giustizia sociale. Un pianeta degradato penalizza sempre i più vulnerabili.
Le comunità che vivono ai margini sono le prime a subire le conseguenze di un modello di sviluppo predatorio. Una politica che mette la persona al centro non può ignorare l’ambiente, perché l’equilibrio ecologico è la base stessa della sopravvivenza umana.
E l’economia?
Dovrebbe essere al servizio della persona, ma spesso è la persona a essere ridotta a strumento per alimentare un sistema che privilegia il profitto. Ribaltare questa prospettiva è una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Non si tratta solo di redistribuire risorse, ma di ridefinire le priorità. Produrre meno, ma meglio. Investire in qualità della vita piuttosto che in accumulazione fine a se stessa.
Questo richiede interventi coraggiosi, capaci di affrontare le resistenze di chi beneficia di un modello economico disfunzionale.
Il dialogo e il confronto dovrebbero essere il cuore di ogni processo decisionale.
Ma quante volte vediamo le istituzioni privilegiare la forza del potere rispetto alla forza delle idee?
Il rispetto delle istituzioni non è un atto formale.
È il riconoscimento che il bene comune si costruisce insieme, attraverso il confronto aperto e il coinvolgimento reale dei cittadini.
Questo non significa evitare conflitti, ma gestirli con onestà e trasparenza. Mettere la persona al centro non è un traguardo utopico, è una necessità. Ma richiede un cambio di paradigma, un impegno collettivo che sfida le logiche del breve termine e abbraccia una visione di futuro. Significa costruire politiche che non siano solo risposte immediate ai problemi, ma che creino le condizioni per una società più equa, sostenibile e umana.
Questa è la vera sfida. Andare oltre le parole, per fare della centralità della persona non uno slogan, ma una realtà.
Con attenzione, Nicola