JFK, qualcuno ricorderà, osservò che, in cinese, la parola crisi è composta da due caratteri: uno rappresenta pericolo, l’altro opportunità. Qualcuno fu scettico sulla linguistica, ma mai sulla sostanza dell’osservazione e sul significato. Quest’osservazione è particolarmente vera oggi.
E John Fitzgerald Kennedy, ovviamente, non fu il solo e fu ripreso in molte occasioni.
Le attuali crisi – ed il peggior periodo in arrivo – hanno stravolto la nostra vita personale e professionale.
Le ricadute cambieranno radicalmente il mondo nei prossimi anni, con un impatto duraturo.
La guerra e le scelte politiche, specie quelle sull’economia e sulla società faranno il resto. Ahinoi.
C’è però il rovescio della medaglia: nuove significative opportunità di crescita.
Vederle, però, non è la stessa cosa che saperle cogliere.
Siamo pronti ad affrontare i cambiamenti che percepiamo, se li vediamo tutti?
I più saranno concentrati sulla continuità aziendale, soprattutto nel loro core.
Altri sulla riduzione dei costi.
Diversi implementeranno misure di sicurezza.
Gli investimenti in innovazione, però, soffrono.
Ma catturare nuove linee di tendenza è priorità assoluta proprio in questi momenti.
Non possono essere l’unica eccezione i prodotti farmaceutici e medici.
Molte aziende, semplicemente, non potranno operare come in passato.
Ciò che ha reso un’impresa vincente potrebbe non essere più possibile durante o dopo la crisi. I clienti potrebbero avere difficoltà a pagare. I canali potrebbero essersi radicalmente spostati per soddisfare nuove esigenze o aggirare nuovi ostacoli. Un contesto normativo prima stabile potrebbe essere mutato, creando potenzialmente opportunità mai esistite prima o bloccando definitivamente una strada.
Le ipotesi che hanno sostenuto anni di crescita stabile e prevedibile potrebbero non essere più valide.
I vantaggi competitivi cambiano dinamicamente man mano che i modelli di business si adattano alle nuove realtà del mercato e le capacità fondamentali che hanno reso distintiva un’organizzazione possono improvvisamente essere meno differenzianti.
Le crisi, in particolare quelle che stiamo vivendo, hanno un costo finanziario e umano significativo, bloccando beni e capitale umano e causano notevoli smottamenti sociali ed economici.
Tuttavia, molte di queste dinamiche sono ingredienti di disgregazione da cui emergono nuovi modelli di business.
La sfida immediata è motivare i team a portare concentrazione, velocità e agilità intense per fornire nuove fonti di valore. Le crisi sono come l’adrenalina per l’innovazione, facendo evaporare nel giro di pochi giorni barriere che una volta richiedevano anni per essere superate. Le ortodossie radicate sul “modo in cui le cose vengono fatte” vengono sostituite con “il nuovo modo in cui facciamo le cose” quasi dall’oggi al domani.
Il contesto di mercato durante una crisi è dinamico, con poche certezze su ciò che definirà il mondo quando le cose si stabilizzeranno. Avere un approccio potente all’analisi di questo tipo di paesaggio richiede la capacità di scoprire, di esplorare nuovi orizzonti, di immaginare nuove traiettorie. È fondamentale per le aziende investire nella riscoperta di ciò che conta per i clienti ora e comprendere l’impatto che queste mutevoli esigenze avranno sulla loro attività.
Le crisi tendono a rimodellare i modelli di spesa, che a loro volta cambiano l’attrattiva di un mercato finale.
Evolvi. Scegli. Aspira. Accelera. Scala. Estendi. Mobilita.
Le organizzazioni devono rendersi conto che l’innovazione, ora più che mai, è una scelta.
Dirimente.
La stessa Silicon Valley abbandona la cultura che l’ha resa invidiata del mondo.
C’era una volta, nella famigerata culla delle start-up, la favola del piccolo è bello.
Per decenni intere regioni, persino nazioni, hanno cercato di modellarsi su un particolare ideale di innovazione, linfa vitale dell’economia moderna.
La Silicon Valley significava giovani aziende che si affrettavano a creare la prossima grande novità, e quella corsa ha portato nuovi prodotti al mondo, quindi l’innovazione è stata collegata alle start-up.
Ma anche lì tutto sta cambiando. La difesa della piccola impresa innovativa e dell’ecosistema imprenditoriale sta lasciando il posto a giustificazioni per la grandezza.
La linea big is beautiful proviene soprattutto dalle grandi imprese che sono minacciate dall’antitrust e devono giustificare le loro dimensioni.
Questo tipo di discorso provoca una risposta ovvia e istintiva: è semplicemente ipocrisia. Quando Google e Facebook erano start-up, i loro dirigenti dicevano che le start-up erano buone. Ora che Google e Facebook sono enormi, i loro dirigenti dicono che le grandi aziende sono buone. È cinico, ma non inatteso.
Ma c’è una possibilità più preoccupante. Forse qualcosa è cambiato nella natura dell’innovazione.
L’etica del “go your way”, vai per la tua strada, ha infuso successive coorti di imprenditori in tutto lo spettro delle tecnologie per tutto il XX secolo. La nuova generazione di aziende non è stata in grado di realizzare la seconda metà di quella profezia.
Quale sarà lo scenario che dovremmo affrontare?
#staytuned #noistudiamo #poicondividiamo
Ready to debate, un sorriso, Nicola