“I territori iperlocali” di Nicola Pirina e Michele Kettmajer
Un libro che racconta l'innovazione dal basso e la centralità, necessaria, delle piccole comunità.
Redazione
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18 Luglio 2025
Tempo di lettura: 3 minuti

In Italia dove lo sviluppo sembra essere appannaggio delle metropoli, un libro ambizioso e necessario ci invita a cambiare sguardo: “I territori iperlocali”, di Nicola Pirina e Michele Kettmajer (Edizioni Kitzanos 2025, qui il link per l’acquisto nelle versioni digitale e cartacea), racconta con intelligenza e con passione come i piccoli centri, spesso ritenuti marginali, possano diventare il cuore dell’innovazione sociale, tecnologica e culturale.

Lontano da ogni retorica, Pirina e Kettmajer propongono un manifesto pragmatico e visionario, dove l’iperlocalismo non è uno stratagemma per favorire la fuga dalla modernità, ma la sua reinvenzione più audace. Il libro è un atlante di possibilità, un viaggio tra comunità digitali, smart villages e startup rurali, costruito con rigore teorico, rafforzato da innumerevoli esempi che corroborano la teoria circa l’urgenza e la convenienza dell’innovazione dal basso.

Il fulcro della loro tesi è chiaro: la dimensione ridotta non è un limite, bensì un vantaggio competitivo. Nelle piccole realtà si possono testare soluzioni innovative – dalla blockchain all’agricoltura rigenerativa – con rapidità, flessibilità e prossimità relazionale che le grandi città non possono più garantire. E ciò non in virtù di una visione romantica o nostalgica fuori contesto quanto per caratteristiche strutturali; i paesi, quelli sotto i 5.000 abitanti, sono più agili, coesi e aperti alla sperimentazione. Le città, di contro, sono spesso inchiodate da inerzie burocratiche e pressioni immobiliari e sovente prive di connessioni sociali robuste. I comuni piccoli sono spazi liberi, ideali per testare modelli nuovi. E il libro ne racconta tanti con dati, casi studio, e una visione concreta.

Il volume ha una struttura agile ma densa sotto il profilo contenutistico: dopo un’introduzione che definisce l’iperlocalismo come la nuova frontiera dello sviluppo territoriale, si succedono nove capitoli tematici che descrivono modelli, tecnologie e politiche necessarie per far fiorire i territori marginali. Con numerosi esempi brillanti che spaziano da Appennino Hub in Emilia sino alla smart destination di San Giovanni a Piro nel Cilento. Quest’ultimo caso, in particolare, dimostra che con la giusta visione anche un centro di poco più di 3.000 abitanti può invertire la rotta dello spopolamento e generare valore, rafforzando l’economia di prossimità.

Nel Manifesto e nell’ Anti-decalogo che si trovano in apertura, invece, gli autori mettono in fila alcune provocazioni capaci di scardinare gli stereotipi: la periferia è il nuovo centro, piccolo non è debole, la bellezza è un’infrastruttura, fallire è permesso. E poi le comunità di dimensioni contenute non sono luogo unicamente per vecchi nostalgici. Infatti, il 41% dei nuovi abitanti di questi centri ha meno di 35 anni.

Pirina e Kettmajer – non si limitano a fotografare l’esistente, ma indicano traiettorie future: infrastrutture digitali, sovranità dei dati, comunità energetiche e modelli di governance partecipativa. A questo proposito la Sardegna è presentata come “sandbox naturale” per sperimentazioni avanzate: bassa densità abitativa, forte identità, neutralità infrastrutturale e una voglia diffusa di ripensarsi.

Ma non è solo questione di tecnologie. Il libro è un inno al radicamento, alla comunità, alla capacità dei territori di produrre senso. Ogni innovazione, sottolineano a più riprese gli autori, ha valore solo se migliora davvero la vita delle persone. Una prospettiva inedita non certo priva di difficoltà e che richiede, innanzitutto, un profondo e chiaro cambio di paradigma.

Per tutte queste ragioni “I territori iperlocali” è diretto a ciascuno di noi: a chi amministra, a chi insegna, a chi sogna di tornare o non se ne è mai andato. È un manifesto che crede nella politica dei luoghi, nella cittadinanza attiva e partecipata, nella bellezza dei gesti piccoli. E che invita a smettere di chiedere permesso. Perché il futuro potrebbe iniziare proprio dove nessuno lo sta cercando.